La chirurgia ricostruttiva ha come obiettivo la correzione delle malformazioni congenite o delle funzionalità compromesse da traumi, malattie, incidenti, ustioni, ferite, con perdite di sostanza che talvolta possono essere gravi, attraverso il ripristino dell’anatomia normale ove possibile e comunque attraverso il ripristino della funzionalità del distretto anatomico interessato. Naturalmente l’attenzione è volta a ripristinare al meglio non soltanto la funzionalità ma anche l’estetica – la forma e l’aspetto – della regione interessata.

Gli interventi di chirurgia ricostruttiva possono interessare tutti i distretti corporei e le patologie più varie. Mi sono perfezionato all’estero in diversi campi della chirurgia ricostruttiva: Chirurgia della Mano , Traumatologia e Chirurgia Ricostruttiva delle estremità (Lima, Perú); Microchirurgia vascolare (Huston, U.S.A.); Chirurgia Craniofacciale e Chirurgia Plastica Pediatrica, Labiopalatoschisi ( Norfolk, U.S.A); ho sviluppato una grande esperienza come chirurgo in missioni mediche umanitarie dedicate al trattamento delle malformazioni congenite – labiopalatoschisi, mano congenita, microtia, sequele cicatriziali da ustioni di III*, e altre.

La tecnica operatoria dipende dalla patologia che si affronta. In linea generale consiste nel ricollocare i tessuti nella posizione corretta, oppure nel prelevare tessuti da aree donanti (cute,muscoli,tessuto adiposo o osseo) dello stesso paziente e nel ricollocarli nelle aree da riparare.

TRATTAMENTO DELLE CICATRICI
Cosa è una cicatrice
La cicatrice consiste nella neoformazione del tessuto che riempie la perdita di continuità tissutale delle ferite, un po’ come la stuccatura di una crepa dell’intonaco di una parete.
La cicatrice si forma ogni qual volta si manifesta una lesione, ossia una interruzione della continuità della pelle (di epidermide, derma e sottocute, talvolta anche di altri tessuti sottostanti, come muscolo, ossa, cartilagini e mucose) e si genera a partire dall’interruzione di continuità del derma, che può seguire a un trauma oppure a un procedimento chirurgico; il tessuto cicatriziale va a riempire il difetto che si è generato.
La qualità delle cicatrici, che si forma a seguito di eventi traumatici o in conseguenza di un intervento chirurgico, varia da individuo a individuo. In particolare ci sono casi in cui si manifesta la tendenza ad una cicatrizzazione patologica, perciò è importante il monitoraggio , che permette di intervenire tempestivamente ove necessario con trattamento medico, che può essere di tipo infiltrativo e/o compressivo.  
Possiamo classificare il tessuto cicatriziale come normotrofico, ipertrofico e cheloide.
Le cicatrici hanno la tendenza a retrarsi, per cui anche una cicatrice “normotrofica” (cioè senza tessuto cicatriziale in eccesso) può richiedere un trattamento, in particolare se il decorso della cicatrice è perpendicolare alle linee di minor tensione della cute – le “linee di Langer” (ad esempio una cicatrice verticale sulla fronte) oppure nel caso in cui le cicatrici si localizzino a livello delle pieghe articolari ed a seguito della retrazione cicatriziale si abbia una impotenza funzionale.
La cicatrice “ipertrofica” è una cicatrice esuberante che genera un cordone convesso verso l’esterno, con colorazione iniziale rosso acceso che tende nel tempo ad evolvere schiarendosi progressivamente, inizialmente accompagnata da prurito. La cicatrice ipertrofica rimane confinata all’interno dei margini della pregressa ferita, va allargandosi, ma non va ad invadere il tessuto sano circostante.
La cicatrice “cheloide” ha le caratteristiche di una neoformazione del tessuto cicatriziale con crescita lenta e progressiva; non rimane confinato all’interno dei margini della ferita bensì tende ad invadere il tessuto sano circostante, assumendo un aspetto a cavolfiore, talvolta fortemente invalidante; è di color rosso vivo, convesso verso la superficie esterna, duro alla palpazione, caratterizzata da prurito che ha la tendenza ad aumentare con l’aumentare delle dimensioni del cheloide stesso, accompagnandosi anche a dolore. Il cheloide è un tessuto cicatriziale che si comporta come un tumore con una crescita lenta, progressiva e senza controllo.

Come si decide l’intervento
Quando compare una cicatrice si presenta dapprima rossa per poi diventare rosea, e occorrono almeno 12 mesi perché essa si stabilizzi, tenderà quindi a sbiancarsi. Solo a quel punto sarà possibile ipotizzare di intervenire chirurgicamente.
Le cicatrici, a seconda del tipo, dell’ubicazione e dell’estensione possono comportare una limitazione funzionale anche grave, oppure un danno di natura esclusivamente estetica.
Gli esiti di traumi e ustioni ad esempio possono generare con maggior frequenza un evento cicatriziale patologico con una impotenza funzionale a carattere invalidante e non solo un rilevante danno estetico.
Nel primo caso l’intervento avrà una priorità funzionale (restituire la flesso estensione di un arto per esempio). In entrambi i casi le cicatrici sono un segno permanente che non può essere completamente cancellato ma può essere migliorato, anche significativamente, attraverso un procedimento chirurgico.   
Per una cicatrice normotrofica, o per una cicatrice ipertrofica parallela alle linee di minor tensione ( linee di Langer) si può procedere alla asportazione della cicatrice per poi riparare il difetto che consegue alla asportazione  con un avanzamento dei tessuti limitrofi; in questo modo si ottiene una linea cicatriziale meno visibile e senza tensione, che si confonde con le pieghe fisiologiche della pelle (ad esempio una cicatrice orizzontale sulla fronte).
Nella nostra esperienza otteniamo risultati eccellenti con una nuova tecnica chirurgica per il trattamento delle cicatrici che si chiama A-.plasty, tecnica personale che descrivo nella sezione dedicata agli articoli scientifici, valida alternativa alla W-.plastica e alla Z-.plastica. E’ una tecnica adatta alle cicatrici che non seguono le linee di minor tensione della cute (linee di Langer), per esempio una cicatrice verticale del collo.
Le cicatrici ipertrofiche e cheloidi possono migliorare anche con soli trattamenti medici, come con la terapia infiltrativa locale con triamcinolone e/o con la terapia compressiva, ma anche attraverso  l’uso di lamine o gel di silicone. Talvolta l’intervento chirurgico potrebbe peggiorare la situazione, per cui vanno vagliate le ipotesi di trattamento con estrema attenzione ad ogni caso specifico. Per esempio, per un cheloide che presenta una dimensione importante, con l’aspetto di un piccolo cavolfiore, l’approccio più efficace consiste nel rimuoverlo chirurgicamente per poi procedere anche ad una terapia medica, così da prevenire il suo riformarsi.  Se invece il cheloide è in fase iniziale può essere immediatamente posto sotto controllo attraverso terapia medica.
La tecnica chirurgica da adottare per migliorare le cicatrici varia a seconda che si tratti di cicatrici ipertrofiche o cheloidi, e può consistere nella escissione intralesionale (ossia della porzione sporgente o comunque maggiormente sintomatica) oppure nella escissione completa, a seconda della estensione, della collocazione e della qualità della cicatrice, che può presentarsi come un cordone fibrotico duro e dolente oppure come una cicatrice morbida e non dolente.
Con la tecnica chirurgica che applichiamo al trattamento della cicatrice cheloide e con i presidi medici post-operatori che applichiamo alla neo-cicatrice che vogliamo di miglior qualità, facciamo sì che la probabilità di recidiva di una cicatrice cheloide si riduca in maniera significativa.

Il monitoraggio   
Di estrema importanza sarà il monitoraggio post-procedimento per un periodo non inferiore all’anno, con l’obiettivo di prevenire e controllare l’insorgenza di cicatrizzazione anomala, ipertrofica e cheloide.

TRATTAMENTO DELLE ULCERE DA PRESSIONE O DA DECUBITO
La lesione da pressione, o ulcera da decubito, è una lesione tissutale con evoluzione necrotica che interessa l’epidermide, il derma e il sottocute, fino a raggiungere, nei casi più gravi, la muscolatura e le ossa. A rischio sono le persone con paraplegie e/o che devono passare lunghi periodi allettate. Nelle fasi iniziali queste lesioni possono essere trattate sia con presidi medici che con medicazioni avanzate; nei casi in cui evolvano in lesioni di 3° grado, ossia distruggano tutta la cute ed evolvano in ulcera, è opportuno intervenire chirurgicamente. L’intervento si svolge in due fasi: la prima è l’escarectomia con “toilette” chirurgica, cioè la rimozione e la pulizia di tutto il tessuto necrotico presente. Una volta raggiunta la stabilizzazione della lesione, in genere tra le due e le quattro settimane, si procede all’intervento chirurgico di ricostruzione con lembi dermo-grassi, fascio-cutanei o muscolo-cutanei (per esempio con il lembo mio-fascio-cutaneo tensore della fascia lata, il lembo mio-cutaneo del grande gluteo ed altri).

RICOSTRUZIONE POST-TRAUMATICA DEL PADIGLIONE AURICOLARE, LOBO AURICOLARE
L’evento traumatico comporta una sequela estetica ed un rischio acuto di natura infettiva; è essenziale prevenire una eventuale condrite, cioè l’infezione della cartilagine, che se non trattata opportunamente si potrà complicare in condrite erosiva che distrugge la cartilagine, impalcatura del padiglione auricolare.
La consistenza e la forma della propria cartilagine sono difficilmente riproducibili: perciò è importante, quando possibile, conservare i frammenti .
Per la stessa ragione intervengo nella fase acuta, secondo il caso clinico, in modo da salvare quanto possibile della cartilagine del padiglione auricolare, impiantandola in una tasca sottocutanea in modo tale da poterla riutilizzare nella fase ricostruttiva. In questo modo il risultato che si ottiene dalla ricostruzione è superiore.
La chirurgia ricostruttiva non interviene nella fase acuta dell’evento ma soltanto quando la ferita è guarita.
Il tipo di intervento chirurgico di ricostruzione dipende dall’evento traumatico che ha comportato la perdita di parte o tutto il padiglione auricolare; dunque ogni intervento è diverso, e si può realizzare sia attraverso la ricostruzione con lembi locali che attraverso eventuali innesti composti dermo-grassi che possono anche includere la cartilagine. Nei casi di perdite contenute la cartilagine mancante si potrà ricavare dalla concia auricolare dell’orecchio controlaterale, in casi di perdita severa si potrà prelevare la cartilagine costale. Il procedimento è analogo a quello di ricostruzione per mancanza congenita del padiglione auricolare stesso (“microtia”).

TRATTAMENTO DELLE USTIONI E DEGLI ESITI CICATRIZIALIDELLE USTIONI DI 3° GRADO
L’ustione è un processo patologico di morte cellulare, dovuto a varie cause tra le quali temperature estreme (calore o freddo), agenti elettrici, alto e basso voltaggio, agenti chimici, agenti radianti.
La gravità di un’ustione dipenderà dalla temperatura raggiunta, dall’entità del fattore ustionante, dal tempo di esposizione all’agente ustionante, che determinano alterazioni enzimatiche a livello cellulare, successivamente denaturazione proteica e danni alle membrane ed infine necrosi.
La gravità di un´ustione si classifica in base a 5 parametri fondamentali:
• Estensione della superficie ustionata
• Sede: sono considerate critiche le ustioni del volto e del collo,. Per gli esiti cicatriziali, che determinano deficit funzionali, si considerano gravi le ustioni a livello delle superfici flessorie, delle rime orifiziali, di mani e piedi.
• Ustioni delle vie respiratorie, soprattutto se associate ad inalazione di vapori o gas surriscaldati, che provocano ingenti danni alle vie aeree
• Età: un´ustione che in un adulto può avere una buona prognosi, può dare ripercussioni di tipo sistemico con prognosi peggiore sia nei bambini che negli anziani.
• Profondità dell’ustione. Nel 1° grado è coinvolta solo l´epidermide. Il 2° grado interessa sia l´epidermide che parte del derma e si può suddividere in superficiale (il cui segno caratteristico è la comparsa delle flittene, bolle cutanee piene di liquido sieroso, che nel caso si rompano presentano la ferita di color rosso vivo); intermedio (il cui segno caratteristico è la presenza di flittene rotte con il fondo della ferita di color rosa, e con dolore molto intenso); profondo (a differenza dei primi gradi che compromettono la parte più superficiale del derma, qui buona parte del derma è distrutto, il fondo della ferita è biancastro e la guarigione lascia generalmente esiti di pigmentazione a carico della pelle). Nelle ustioni di 1° grado è sufficiente un trattamento sintomatico. Intervengo nel caso di ustioni di 2° grado dove sono necessarie medicazioni avanzate, fondamentali al fine di prevenire l’evoluzione dell’ustione in ustione di 3° grado. Dopo aver valutato il caso clinico procedo a una medicazione interdiaria, di tipo occlusivo per gli arti e il tronco, aperta invece per il viso e i genitali – fino a raggiungere la riepitelizzazione.
 Nelle ustioni di 3° grado la cute è invece interessata a tutto spessore, con tessuto necrotico; tipica è l´anestesia di questa area dovuta alla contemporanea distruzione delle terminazioni nervose; la guarigione può avvenire solo grazie ad un intervento chirurgico.
 Il paziente ustionato arriva all’attenzione del chirurgo plastico quando è tecnicamente “guarito”. Ormai lontano dalla fase acuta, quella magari in cui è stato anche in pericolo di vita, la ricostruzione coincide con la possibilità di ricominciare una vita il più possibile normale. Una persona ustionata, infatti, non è solo quella a cui il caffè bollente ha segnato una gamba, ma anche quella raggiunta al viso da un ritorno di fiamma del barbecue, con esiti devastanti sul piano estetico, ovviamente, ma anche su quello funzionale .
L’intervento è necessariamente articolato in più fasi: in una prima fase si procede attraverso escarectomia e/o escarotomia (in sostanza rimuovendo il tessuto necrotico o incidendolo per permettere la circolazione del sangue a livello distale).
La seconda fase è dedicata alla riparazione dei tessuti, con lembi o con autoinnesti di tessuto autologo (cute dello stesso paziente).
 Quando agli esiti cicatriziali finali si accompagnano una impotenza funzionale (ad esempio flesso-estensione delle articolazioni) e/o una significativa menomazione sul piano estetico, è possibile procedere a un intervento ricostruttivo di miglioramento – funzionale ed estetico. Inutile dire che l’intervento ricostruttivo varia caso per caso, con un range di possibilità molto ampio, che può anche essere prolungato nel tempo.
Infine entra in scena il lipofilling, tecnica poco invasiva (un elemento da non trascurare, in un paziente che ha già subito interventi e lunghe cure) che dà ottimi risultati, favorendo una sorta di rinascita nei tessuti cicatriziali. Dopo il lipofilling, infatti, anche i tessuti più “duri” (come sono quelli cicatriziali di un ustionato, quasi simili al cuoio) diventano elastici, più morbidi e più vitali.

Approfondimenti

Le ustioni in emergenza

Piano della formazione

CHIRURGIA RICOSTRUTTIVA DELLA MAMMELLA
La chirurgia ricostruttiva della mammella può rendersi necessaria per una malformazione congenita di tipo evolutivo che si evidenzia in genere con l’adolescenza, oppure a seguito di una mastectomia.
Le malformazioni congenite delle mammelle si possono dividere in due grandi categorie: quelle che riguardano il complesso areola-capezzolo e quelle che riguardano la mammella.
Nel primo gruppo abbiamo:

• atelia (assenza di capezzolo e areola) in cui si dovrà procedere a ricostruire il complesso areola capezzolo mancante. Io preferisco procedere alla ricostruzione attraverso l’uso di tessuto autologo rispetto all’uso del tatuaggio, che non dà mai un effetto naturale.
• politelia (presenza di capezzoli e areole in sovrannumero) nel qual caso si procederà a rimuovere quei complessi areola-capezzoli in sovrannumero attraverso la loro escissione.
• capezzolo introflesso, che per la sua naturale conformazione ostacola l’allattamento. In questo caso si può procedere ad un piccolo intervento chirurgico, descritto nella sezione chirurgia estetica della mammella, che ne permette la estroflessione LINK A CAPEZZOLO ESTROFLESSO IN CHIRURGIA ESTETICA CORPO SENO
Nel secondo gruppo tra le malformazioni più comuni ci sono:
• sindrome di Poland, in cui una metà del torace è ipotrofico, con una mammella sviluppata normalmente e una invece decisamente più piccola; talvolta manca anche il muscolo pettorale che presenta una deformità della cassa toracica dallo stesso lato. In molti di questi casi è sufficiente l’impianto di una protesi mammaria in maniera non dissimile a ciò che si realizza nella mastoplastica additiva per motivi estetici. LINK A CHIRURGIA ESTETICA CORPO SENO MAMMOPLASTICA ADDITIVA In altri si può associare all’impianto protesico un lembo muscolare, con funzioni sia di copertura dell’impianto che di aumento del volume e simmetrizzazione del torace
 
• asimmetria mammaria: valutando volumi e proporzioni si può scegliere se ridurre o aumentare una delle due mammelle, con il procedimento descritto nella sezione chirurgia estetica della mammella LINK A CHIRURGIA ESTETICA CORPO SENO
• seno tuberoso: una o entrambe le mammelle hanno una forma tuberosa, ossia cilindrica, che si associa ad una ptosi. La soluzione vedrà la cura chirurgica attraverso una tecnica peri-areolare, che rende l’aspetto della mammella più tondeggiante.
Spesso la chirurgia ricostruttiva della mammella avviene a seguito di mastectomia per un tumore, ed è una fase essenziale del percorso di guarigione.
Quando l’intervento segue a mastectomia per tumore il chirurgo e l’oncologo lavorano di concerto, valutando le condizioni generali e le possibilità di procedere alla ricostruzione. La ricostruzione darà una mammella simile per forma e volume a quella naturale ma non può garantire che sia identica.
La ricostruzione mammaria, oltre a restituire volume e forma, si occupa di ricostruire il complesso areola-capezzolo e di rendere simmetrica la mammella sana, se necessario correggendone la ptosi e riducendone il volume, per massimizzare la simmetria.
 
Il tipo di ricostruzione dipenderà dalla qualità e dalla quantità dei tessuti residui: nel caso di una mastectomia non radicale (si è conservata una sufficiente quantità di tessuti molli – cute, sottocute e muscolo) sarà possibile effettuare la ricostruzione, se del caso con utilizzo di espansore tissutale, per poi sostituirlo con un impianto mammario definitivo. Nel caso in cui la mastectomia sia stata radicale, con asportazione di tutto il tessuto molle, sarà necessario realizzare lembi di tipo muscolo-cutaneo (lembo mio-cutaneo del grande dorsale, lembo miocutaneo del retto dell’addome) per poter portare una sufficiente quantità di tessuto nella regione pettorale, con l’uso se necessario di un impianto protesico.

CHIRURGIA DELLA MANO
Dito a scatto, Morbo di De Quervain , Morbo di Dupuytren, Sindrome del tunnel del carpo, Sindrome del canale del Guyon, Cisti tendinee e cisti sinoviali
La chirurgia della mano comprende due tipi di chirurgia: la chirurgia di urgenza relativa ai traumi della mano – schiacciamenti, sgloving, amputazioni, lesioni da scoppio, e ustioni – e la chirurgia elettiva che riguarda le patologie relative alla mano – dito a scatto, morbo di Dupuytren, sindrome del tunnel del carpo, sindrome del canale del Guyon, sindrome di Quervain, sequele di patologie traumatiche.
Dito a scatto
La tenosinovite stenosante, detta anche “dito a scatto”, consiste nel blocco del movimento del tendine flessore di un dito della mano, che viene superato mediante uno sforzo, oppure aiutando la flessione del dito con la mano opposta, e producendo uno scatto facilmente avvertibile. Tale condizione si verifica a causa della formazione di un nodulo a carico del tendine flessore interessato, a livello del palmo della mano, che ne limita o impedisce lo scorrimento all’interno della guaina.
Il procedimento chirurgico è eseguibile in anestesia locale, con una piccola incisione sul lato palmare e con la liberazione del legamento che contiene il tendine flessore.
Morbo di De Quervain
E’ una malattia che, come il dito a scatto, fa parte del gruppo delle tenosinoviti stenosanti, che colpiscono i tendini dotati di guaina sinoviale nei punti di passaggio al di sotto di fasce fibrose al livello del polso. Questa malattia in particolare impedisce lo scorrimento dei tendini dell’estensore breve e dell’abduttore lungo del pollice – in sostanza rende doloroso fino a impedire il movimento dal polso al pollice fino all’intera mano. Quando il trattamento con ghiaccio e antiinfiammatori non è sufficiente si ricorre a un intervento chirurgico , in anestesia locale, che consiste nella sezione della parte della guaina che impedisce lo scorrimento dei tendini.
Morbo di Dupuytren
Il morbo di Dupuytren consiste nell’ispessimento e nella retrazione sottocutanea della fascia palmare. Più frequente negli uomini, si manifesta con la presenza di uno o più noduli sottocutanei nella fascia palmare della mano ed evolve con la retrazione delle corde aponeurotiche delle dita interessate, in prevalenza il IV° dito; in sostanza le dita si flettono in maniera progressiva e permanente. Tale condizione limita od impedisce l’utilizzo della mano ed è per questo consigliabile intervenire precocemente al fine di non perdere la funzione della mano.
Il procedimento chirurgico consiste nella rimozione della fascia palmare, non comporta conseguenze, ed è eseguibile in anestesia locale.
Sindrome del tunnel carpale
La sindrome del tunnel carpale consiste nella compressione del nervo mediano all’interno di un tunnel del polso denominato per l’appunto “tunnel carpale”, in cui lo troviamo insieme ai tendini flessori delle dita. Il rigonfiamento delle guaine di questi tendini, talora dovuto a malattie reumatologiche, è responsabile della compressione del nervo mediano.
Più frequente nelle donne, si manifesta con fastidiosi formicolii, più intensi durante la notte, caratteristicamente localizzati al pollice, all’indice ed al dito medio di una o entrambe le mani. Col passare del tempo si trasformano in dolori, con progressiva diminuzione della sensibilità e della forza delle dita. Nei casi più avanzati può verificarsi la perdita della presa degli oggetti. Nel caso in cui la terapia medica antinfiammatoria non consenta la regressione dei sintomi e dopo l’esecuzione di un’elettromiografia (esame che consente di valutare la funzionalità del nervo mediano e di emettere una diagnosi certa) è indicato procedere all’intervento chirurgico di neurolisi, cioè di decompressione del nervo mediano che decorre all’interno del tunnel carpale, attraverso la sezione del legamento trasverso del carpo. L’intervento si esegue in anestesia locale e i sintomi regrediscono immediatamente dopo l’intervento.
Sindrome del canale di Guyon
La sindrome del canale di Guyon consiste nella compressione del nervo ulnare. Il canale di Guyon è quella struttura del polso all’interno della quale decorrono il nervo e l’arteria ulnare. Più frequente nelle donne, si manifesta con fastidiosi formicolii, più intensi durante la notte, caratteristicamente localizzati al mignolo e all’anulare di una o entrambe le mani. Col passare del tempo si trasformano in dolori, con progressiva diminuzione della sensibilità e della forza delle dita. Nel caso in cui la terapia medica antinfiammatoria non consenta la regressione dei sintomi e dopo l’esecuzione di un’elettromiografia (esame che consente di valutare la funzionalità del nervo ulnare e di emettere una diagnosi certa), è indicato procedere all’intervento chirurgico che consiste nella neurolisi – ossia nella decompressione del nervo ulnare che decorre appunto all’interno del canale di Guyon. L’intervento è eseguito in anestesia locale; i sintomi regrediscono immediatamente dopo l’intervento.
Cisti tendinee e cisti sinoviali
Le cisti tendinee e le cisti sinoviali consistono in dilatazioni di guaine tendinee o della membrana che ricopre le articolazioni (membrana sinoviale). Si presentano al polso o al dorso della mano sotto forma di tumefazioni di consistenza duro-elastica, dolenti alla pressione; contengono un liquido trasparente e vischioso, il liquido sinoviale. Non comportano alcun rischio funzionale, ma fastidio, impaccio in alcuni movimenti ed il disturbo dovuto all’inestetismo. Quando le cisti sono di recente insorgenza si può procedere con l’aspirazione del contenuto con una siringa e con una medicazione compressiva. Quando invece sono più datate, o in caso di recidiva, è indicata la asportazione chirurgica, che viene eseguita in anestesia locale e deve mirare alla rimozione di tutta la parete della ciste. Anche in questi casi è possibile la recidiva.

TUMORI CUTANEI
Carcinomi basocellulari, carcinomi spinocellulari e melanomi sono i tumori cutanei più diffusi. L’indicazione assoluta per questi casi è l’intervento chirurgico di escissione.
In alcune occasioni a seguito della chirurgia consegue un danno estetico che può rendere necessario un successivo procedimento ricostruttivo. Ovviamente la modalità e l’entità dell’intervento ricostruttivo a seguito dell’asportazione di un tumore cutaneo dipenderanno tanto dalla dimensione quanto dalla sede da cui il tumore sarà stato escisso.

UNGHIA INCARNITA – ONICO-CRIPTOSI
La lamina ungueale o corpo ungueale è in continuo accrescimento in quanto costantemente generata dalle cellule della matrice, che si trova sotto la pelle della radice dell’unghia. Le porzioni laterali dell’unghia scorrono sotto la cute, senza approfondirsi eccessivamente. Quando uno o entrambi i lati dell’unghia si approfondiscono in maniera eccessiva, si determina la condizione di onicocriptosi, comunemente chiamata “unghia incarnita”, che nel maggior parte dei casi interessa l’alluce. Ciò può dipendere dall’utilizzo di scarpe strette, da uno schiacciamento dell’unghia da trauma, da taglio non corretto dell’unghia, influenzati da una predisposizione congenita.
Ne consegue un’infiammazione (arrossamento, gonfiore e dolore dei tessuti), fino a giungere all’infezione (infiammazione con fuoriuscita di pus).
Se l’infiammazione cronicizza con infezioni intercorrenti può essere opportuno provvedere ad un intervento chirurgico eseguibile ambulatorialmente in anestesia locale, chiamata onico-matricectomia selettiva, che elimina il problema definitivamente attraverso la rimozione delle porzioni laterali della matrice responsabili della sintomatologia sopradescritta, conservando la porzione centrale sana dell’unghia.

CHIRURGIA PLASTICA PEDIATRICA

Ho avuto la fortuna di realizzare il sogno della mia vita: essere un medico specialista in chirurgia plastica, e ho scelto fin dall’inizio di dedicare una parte del mio tempo a missioni mediche umanitarie, nell’ambito delle quali mi dedico a trattare soprattutto bambini, nati con un problema malformativo congenito o colpiti da un evento traumatico. Mi sono perfezionato all’estero in diversi campi della chirurgia ricostruttiva: Chirurgia della Mano, Traumatologia e Chirurgia Ricostruttiva delle estremità (Lima, Perú); Microchirurgia vascolare (Huston, U.S.A.); Chirurgia Craniofacciale e Chirurgia Plastica Pediatrica, Labiopalatoschisi ( Norfolk, U.S.A).

Ho sviluppato una grande esperienza sul piano della tecnica chirurgica nel trattamento delle malformazioni congenite – labiopalatoschisi, mano congenita, microtia, sequele cicatriziali da ustioni di III*, e altre. Ho messo a punto tecniche operatorie avanzate, che hanno dato grandi risultati.

Ma nell’operare con i bambini è altrettanto fondamentale la competenza umana. Come chirurgo ho all’attivo oltre 90 missioni umanitarie dedicate ai bambini, nelle quali ogni volta rinnovo l’impegno di sostenere ogni bambino con la sua famiglia nell’affrontare l’iter chirurgico, prima, durante e dopo l’intervento fino al completo recupero o guarigione: è una esperienza umana profonda, e delicata.

Per questo nella mia attività di chirurgia plastica pediatrica con l’équipe dedico molta attenzione a che il bambino e la sua famiglia siano accolti in una atmosfera familiare e rassicurante, che ricevano con delicatezza e in maniera comprensibile tutta l’informazione di cui hanno bisogno, ciascuno al suo modo, circa ciò che succederà; che si sentano protetti e costantemente sostenuti sul piano concreto come sul piano emotivo e affettivo. 

 

Labiopalatoschisi

E’ una condizione comunemente nota come “labbro leporino” che si manifesta con una interruzione del labbro superiore, della gengiva e del palato, in grado variabile.
Quando la schisi interessa solo il palato si parlerà di palatoschisi, mentre se coinvolge oltre al palato anche il labbro ed il naso e la gengiva si avrà una labio-palato schisi.
In due terzi dei casi si tratta di schisi monolaterali destre o sinistre ed in un terzo circa si tratta di schisi labiali bilaterali. L’incidenza in Italia è di circa 1 ogni 800 neonat.
Se la schisi è completa con diastasi dei segmenti mascellari superiore a 7/8 mm  la sequenza degli interventi è :
– un primo intervento di lip-adhesion (aderenza labiale) intorno alle 6 settimane di vita.
– cheiloplastica intorno ai 3 mesi di età, riparando al contempo oltre alla schisi labiale anche la gengiva ed il naso
– palatoplastica intorno ai 6 mesi di età per riparare la schisi del palato ed eventualmente fare un piccolo ritocco alla schisi nasale in caso di bisogno.
– periostioplastica secondaria intorno ai 5 anni e mezzo se necessario per incrementare la produzione di osso a livello della pregressa schisi alveolare.

In alcuni casi sarà necessario completare la formazione di osso a livello della schisi alveolare al fine di avere una eruzione del canino con una buona base di osso; in tali casi si realizzerà un innesto osseo intorno ai 10 anni di età.

 

Macrostomia
È lo sviluppo eccessivo dell’apertura della bocca che si può presentare in forma monolaterale o bilaterale. La macrostomia può essere semplice, ossia interessare unicamente l’apertura anomala di uno od entrambi i lati della bocca (commissura buccale); oppure può essere una schisi (che non si sa cosa è) completa laterale del viso, (schisi 7) associata ad una microsomia emifacciale che comporta deformità della mandibola e dell’orecchio – il quale può presentare diversi gradi di deficit di formazione dell’orecchio (microtia), sempre dal lato della macrostomia.
La correzione è chirurgica implica la riparazione del muscolo orbicolare della bocca e dei tessuti molli della guancia.

 

Microtia e altre deformità congenite dell’orecchio

La microtia è una malformazione congenita che interessa l’orecchio, che ha un deficit nella formazione dell’orecchio fino a giungere nei casi estremi all’anotia (mancanza del padiglione auricolare) e può associarsi alla ipotrofia del canale uditivo o addirittura alla sua mancanza. Nel 10% dei casi è bilaterale.

La microtia può associarsi a ipotrofia mandibolare del lato della microtia stessa con una eventuale microsomia emifacciale, cui si associa un deficit di sviluppo della mandibola.

La correzione chirurgica prevede una ricostruzione del padiglione auricolare con cartilagine costale, e si può pensare di affrontare questo percorso a partire dai 6 anni di età.

Una valida alternativa alla cartilagine costale è l’utilizzo di una protesi in polipropilene poroso o in silicone.  E’ possibile utilizzare una protesi di orecchio esterno costituito da uno stampo in silicone dell’orecchio normale; le protesi possono essere fissate alla esta o da un adesivo o da una clip o magnete, impiantati nel cuoi capelluto attraverso una procedura chirurgica.

 

 

Polidattilia del piede e della mano

E’ una malformazione congenita caratterizzata dalla presenza di dita in sovrannumero.

Vi sono diversi gradi di manifestazione, da una semplice bifidità all’estremo distale della falange del dito interessato, alla completa duplicazione del dito interessato.

Il trattamento è chirurgico e prevede la rimozione del dito sovrannumerario accessorio salvaguardando il dito principale, e comunque si dovrà anche considerare quale dito è utile e funzionale nell’utilizzo della funzione di pinza della mano. In caso di dita bifide si procederà, solo  se risulta utile e conveniente da un punto di vista funzionale, al rimodellamento del dito.

E’ consigliabile realizzare il procedimento chirurgico nel primo anno di vita.

 

 

Sindattilia del piede e della mano:

Si tratta di una malformazione congenita caratterizzata dalla fusione di due o più dita delle mani o meno frequentemente dei piedi.

La sindattilia può interessare unicamente la fusione dei tessuti molli, o può interessare, in grado variabile, anche la fusione dei tessuti ossei e dei tendini.

Spesso è dovuta ad una eredità genetica familiare, a volte può associarsi a sindromi che hanno una caratteristica genetica dovuta a nuova mutazione o a carattere ereditario, come nella sindrome di Appert.

Il trattamento è sempre chirurgico: quando sono coinvolti soltanto i tessuti molli, si realizzeranno solo lembi locali, senza la necessità di innesti cutanei; in altri casi si dovrà combinare la realizzazione di lembi locali a innesti autologhi di cute a spessore totale. Si tratta di un tipo di procedimento che è bene realizzare precocemente a partire dal primo anno di vita.

 

Emangiomi

Sono neoplasie benigne dell’endotelio capillare (in pratica della struttura / o della rete dei capillari) che compaiono poche settimane dopo la nascita; dopo una fase di intensa proliferazione nei primi mesi ed in alcuni casi subiscono una involuzione graduale che dura alcuni anni (cosidetti angiomi a fragola).

Possono interessare qualsiasi regione del corpo, ma si presentano con molta più frequenza nel distretto cranio-facciale, particolarmente delicata la localizzazione alle labbra, al naso e alle palpebre.

Il trattamento prevede una terapia medica a basi di propranololo ed eventualmente  asportazione chirurgica che trova l’indicazione negli angiomi più voluminosi che hanno una base di impianto piccola e comunque in quelli che si può prevedere l’estensione dgli esiti della cicatrice.

Inoltre bisognerà anche prendere in considerazione nel caso di un intervento chirurgico riparativo che tipo di cicatrice risulterà dalll’asportazione dell’emangioma in modo tale che non sia superiore all’esito fibro-adiposo una volta che si sia conclusa l’involuzione dell’emangioma.

La indicazione assoluta nel trattamento chirurgico degli emangiomi del distretto cervico-facciale sarà assoluta quando gli angiomi sono localizzati a livello del cuoio capelluto o del collo, mentre andrà valutata con attenzione in caso di localizzazione sulle labbra, naso e palpebre.

 

Naevi (nei) congeniti

I nevi maggiormente a rischio in età pediatrica sono sicuramente quelli congeniti, in particolare quelli giganti, con 20 cm o più di diametro; comunque anche quelli di medie o di piccole dimensioni vanno controllati periodicamente. Altri nevi a rischio sono quelli “atipici”, che presentano caratteristiche di irregolarità di forma e di colore

Quando rivolgersi dallo specialista: REGOLA DELL’ABCDE

A: Asimmetria

B: Bordi irregolari

C: Colore disomogeneo

D: Dimensioni > di 8mm

E: Evoluzione ulteriore di qualunque delle caratteristiche sopramenzionate (ABCD)

 

Il trattamento chirurgico opportuno prevede che i nevi congeniti giganti vengano asportati entro il primo anno di vita. Gli altri nevi congeniti vanno monitorati e nel caso si manifestino caratteristiche a rischio verranno asportati; altrimenti si potrà procedere quando il bambino raggiungerà la pubertà e sarà più grande e presumibilmente più capace di collaborare. In ogni caso sarà importante intervenire prima della maggiore età, considerando il rischio di trasformazione che possono avere nel tempo.

 

 

Ipospadia

E’ lo sviluppo anomalo degli organi genitali maschili esterni durante la vita embrionaria. La patogenesi è dovuta ad un deficit di produzione di testosterone durante la fase embrionaria.

Si manifesta con una certa variabilità delle seguenti caratteristiche distintive:

  • Meato uretrale esterno (M.U.E.) ristretto in posizione anomala (posteriore variabile da caso a caso) lungo il decorso del rafe mediano (sulla linea mediana).
  • Incurvamento dell’asta
  • Ipoplasia del glande e/o schisi cutanea ventrale
  • Eccesso del prepuzio dorsale

 

Il trattamento prevede la correzione chirurgica che deve essere affrontata entro il secondo anno di vita.

Le forme apicali e distali, che rappresentano oltre l’80% delle ipospadie, possono essere trattate con l’applicazione del M.U.E. e/o con l’avanzamento dell’uretra – interventi compresi in un unico tempo operatorio.

Nelle forme più gravi si necessiterà di uno o due tempi operatori, per la ricostruzione dell’uretra

 

Ptosi palpebrale:

Nei bambini può essere congenita o acquisita (su base traumatica o per malattie neurologiche)

La ptosi palpebrale congenita è legata ad una distrofia congenita localizzata al muscolo elevatore della palpebra superiore, che può essere unilaterale o bilaterale, con conseguente riduzione dell’ampiezza della rima palpebrale.

La ptosi può essere lieve, moderata o severa; si può decidere di differire la chirurgia riparativa all’età prescolare, entro i 6 anni di età, ma se si tratta di casi severi bisogna intervenire precocemente al fine di evitare l’ambliopia (il cosiddetto “occhio pigro”) in modo da permettere all’occhio di lavorare.

Le tecniche chirurgiche variano dal rinforzo dell’inserzione del muscolo elevatore della palpebra al tarso, alla resezione del muscolo elevatore d’accordo al grado di ptosi, fino ad arrivare ad una plastica con l’uso del muscolo frontale.  Quest’ultimo procedimento è riservato quando l’attività del muscolo elevatore della palpebra è povera o inesistente nei casi di ptosi grave.